CUCINE STORICHE: 
LA CUCINA LIGURE
Il greco Strabone (I sec. a.C.) nel suo trattato “Geografia” osservava: “I liguri vivono di latte e di bevande a base di orzo; comperano a Genova olio e vino d’Italia; il poco vino che essi producono direttamente, è resinoso ed aspro”; è la prima testimonianza, anche se non incoraggiante, della presenza della vite nelle zone liguri. Con la conquista romana Plinio il Vecchio, riconobbe i liguri quali esperti vinificatori, Marziale ne parlò con entusiasmo; prima dei tempi della Repubblica di Genova, i marinai della flotta lavoravano la terra solamente nei periodi di sbarco,
e nelle cosiddette “fasce”, piccoli appezzamenti agricoli ricavati sulle balze retrostanti i villaggi di mare, impiantavano le barbatelle di vite raccolte nelle varie coste mediterranee. Da questa vocazione marinara, deriverebbe il grande numero di vitigni che oggi caratterizzano la viticoltura della Liguria.
Terra dura, avara, gli abitanti hanno imparato a sfruttare lottando con i dislivelli, scavando terrazzamenti per piantare ulivi e vigneti; così è nata una
gastronomia che ha le sue basi principali nell’olio, negli animali da cortile, nei frutteti, negli orti, nel sottobosco ed erbe aromatiche; a questo si aggiunge la pesca. Pesce e verdure, spesso abbinati con semplicità, pochi prodotti della campagna e del mare elaborati da sapienti mani possono svelare inaspettati orizzonti del gusto.
Ed ecco la focaccia, bianchetti, boghe in scabeccio, ciupin, cappon magro, friscieu, minestrone, pansotti, piccagge, riso e preboggion, trenette al pesto, cima, verdure ripiene, mes-ciua, agnello in fricassea, stoccafisso accomodato, torta pasqualina, pandolce e spungata.
La Liguria ha momenti storici importanti, nell’IX secolo, i genovesi della Repubblica Marinara, gestivano in
Sicilia banchi commerciali e appositi magazzini per la salagione delle carni, destinate alle galere; magazzini in Sardegna per commercializzare i formaggi e le pelli. Una grande potenza che si poneva a difesa dei territori minacciati dai temibili Mori che terrorizzavano tutto il Mediterraneo.
I genovesi, come tutta la gente di mare, non avevano prevenzioni di sorta anzi, le scoperte di nuovi prodotti e ricette, nel corso dei loro viaggi, arricchivano e variegavano il loro patrimonio. Nella nota diatriba sull’origine della pasta, a Genova si ritrovano importanti reperti: il professore Roberto
Lopez segnala che un medico del suo studio il 2 agosto 1244 proibiva all’operaio Bosso, genovese, di mangiare pasta; nel 1279 il notaio tale Ponzio Bastone legava per testamento agli eredi, una “barixella plena de macaronis”. Perciò a Genova già nel XIII secolo si conosceva e si realizzava, nei laboratori dei suoi fidelari, sia la pasta fresca che secca da esportare ovunque. Genova non ha dovuto attendere il ritorno del veneziano Marco Polo dal suo viaggio in Cina per conoscere gli spaghetti; la cucina ligure viene definita parsimoniosa perché fatta di pochi elementi, ma assolutamente nobili ed essenziali. Il ligure ama fare le cose
da solo, utilizza ogni prodotto con attenzione e combina ingredienti semplici per realizzare pietanze che stimolano la soddisfazione dei sensi; non producendo burro la sfoglia della torta pasqualina è fatta di ben diciotto trasparenti sfoglie, composte con farina e olio extravergine d’oliva.
Prodotti della terra come aglio, borragine, maggiorana, basilico, erbe di campo sono alla base d’ogni elaborato gastronomico come a richiamare profumi, sensazioni e colori di una terra dal mite clima, ricette saporite, elaborate e in genere poco dispendiose; molto diffuso l'uso di piante selvatiche che crescono rigogliose, la borragine sostituisce gli spinaci nel
ripieno dei tortelli; il basilico è dominante, usato in salse preparate nel mortaio d’influenza saracena, come il pesto alla genovese; i ripieni caratterizzano da sempre la gastronomia, dove gli ortaggi vengono mescolati a uova e formaggi, come nella torta pasqualina.
Nella storia Genova città-porto, fu un crocevia di culture, arti e buon mangiare. I commerci attivati dalla Repubblica Marinara introdussero l'uso di alimenti come lo stoccafisso ed il baccalà, prodotti in paesi lontani ma rielaborati per far nascere la zuppa detta "buridda".
La Liguria è la patria delle paste essiccate: la produzione locale è attestata già nel 1244; nel 1574 si costituì la
prima Corporazione dei Pastai con un proprio statuto (Capitoli dell’arte dei Fidelari). Nella città dorica si aprì nel 1740 la prima fabbrica di “pasta fine”, nel 1794 iniziò ad operare il più antico pastificio italiano, con metodi di produzione simili a quelli odierni; per tutto l’Ottocento e fino alla metà del secolo scorso era comune parlare di “pasta all’uso di Genova”; nella pasta secca: i “fidelini” (spaghetti sottilissimi), “bavette” (spaghetti schiacciati), e “trenette” (pasta lunga a sezione quadrata).
Nel Rinascimento nella città genovese si trovavano botteghe d’ogni sorta, i suoi cuochi sono tra i più famosi e contesi dalle varie signorie; sono tanti gli elementi comuni fra cucina ligure e catalana, provenzale, portoghese,
generati proprio in quell'epoca.
L'autentica cucina ligure iniziò a svilupparsi dopo il '700: priva dalle massicce influenze francesi, riusci a mantenere un suo carattere mediterraneo; la gastronomia è ricordata in molti trattati antichi, come nel “La nuova cucina economica” di Vincenzo Agnoletti, tante sono le ricette "di terra e di mare" sopravvissute attraverso i secoli: la farinata, la mesc-ciua, la trippa alla genovese (più delicata perché arricchita di funghi e pinoli).
Piatti identificanti la storia e la posizione geografica di questa terra, che grazie ad un microclima umido ed eccezionale per il nord Italia, ha una varietà di ortaggi e frutti tale da racchiudere la quasi totalità del coltivabile.














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