L’Emilia Romagna è composta da due regioni confinanti che hanno avuto storie diverse fra loro. Nel 1860 l'Emilia comprendente le città di Modena, Reggio, Parma e Piacenza fu annessa al Regno d'Italia. I confini amministrativi della regione vennero ampliati tanto da comprendere le città di Bologna, Ferrara e l’intera Romagna. Le due zone hanno avuto destini e culture assai diverse, tanto da caratterizzarne anche l'arte della cucina.
La gastronomia emiliana è opulenta, solida, saporita e condita, è dalla tradizione cinque-seicentesca che ha ereditato questi caratteri, per i quali tutt'oggi Bologna viene chiamata "la grassa". Nella complessa storia della regione la vita delle corti ha certo avuto molta influenza, lo dimostra la ricchezza delle ricette, a partire da M° Martino per proseguire con Messisbugo e Vincenzo Tanara; l'Artusi che nel suo “La scienza in cucina…” afferma: «Quando incontrate la cucina emiliana, fate una riverenza, perché se la merita». Amabili e gaudenti gli emiliani sono da sempre cultori della cucina, mangiano bene e discutono di cibo con formidabile passione.
Perno della cucina emiliana sono i primi piatti, caratterizzati dalla sfoglia di grano tenero e uovo (senza acqua). Innanzi tutto le tagliatelle, condite con il ragù alla bolognese o con prosciutto a dadini soffritto nel burro. Una variante sono le tagliatelle verdi, nel cui impasto entrano la bietola, lo spinacio o l'ortica. Con la sfoglia verde si confezionano le lasagne al forno, piatto dovizioso a strati alterni di ragù besciamella e parmigiano reggiano.
Parma è la città padana che ha la più antica e precisa codificazione dell’impiego della pasta: Salimbene de Adam (Parma, 1221 – San Polo d'Enza, 1288 religioso, storico e scrittore italiano), paste ripiene e asciutte fresche, ottenute con farina di grano tenero e uova.
La sfoglia di pasta fresca (detta fojäda) è al centro, dell’identità gastronomica parmigiana, tipica nelle paste ripiene, in brodo o asciutte, gli anolini (a Reggio Emilia, cappelletti) e tortelli; nella cucina bolognese e modenese, i tortellini (già presenti nei ricettari medievali), diffusi in tutta Italia centro-settentrionale, serviti in brodo di carne, vengono poi consumati anche asciutti con diversi sughi.
Nel piacentino si ritrovano gli anolini e i tortelli di zucca, simili a quelli mantovani; nel ferrarese detti cappellacci di zucca, si trovano anche i cappelletti che, a differenza della variante romagnola, prevedono un ripieno (batù) a base di carne; l'erbazzone reggiano, sorta di torta salata con spinaci e altre verdure condita con Parmigiano Reggiano e cotta in forno.
LA CUCINA ROMAGNOLA è la gastronomia della Romagna, le sue caratteristiche sono legate alla tradizione contadina, con apporti della pesca e della pastorizia.
Pellegrino Artusi (1820-1911), di Forlimpopoli, tra i più celebri gastronomi italiani, riporta alcune ricette e usi della cucina della sua terra; la sua opera è tuttavia una raccolta organica degli usi gastronomici di tutta l'Italia, soprattutto quella centro-settentrionale.
Nell'ampia cultura popolare romagnola troviamo altri piatti tradizionali, non tutti sopravvissuti; tra i primi piatti la tardura (o "minestra del Paradiso", di uova, formaggio e pan grattato), i manfrigoli, gli gnocchi, le lasagne al forno e i maccheroni; tra i secondi piatti il galletto in umido, la carne lessa e la carne fritta; tra i dolci il bracciatello, la ciambella, i sabadoni: tortelli ripieni di castagne cotte e marmellata di mele, pere cotogne o fichi, la saba: sciroppo prodotto con la riduzione a fuoco lento del mosto d'uva bianca o rossa; piatti delle occasioni solenni, delle grandi feste del ciclo dell'anno (Natale e carnevale) e del ciclo della vita (nascita, nozze, morte).
La cucina di tutti i giorni, invece, era finalizzata a riscaldare e a corroborare (zuppe e minestre di verdure) o a tacitare i morsi della fame (focacce, dolci di farina di mais); molto utilizzate le erbe spontanee commestibili (nel 1565 il medico Costanzo Felici descrive 180 piante mangerecce: erbe, radici, frutti, spezie, funghi e tartufi con i loro impieghi in cucina).
Una cultura ampia e raffinata è quella della sfoglia fatta in casa, di sole farina e uova. Dalla sfoglia, più o meno sottile. si ricavano le tagliatelle, i tagliolini, i quadrettini, i maltagliati, gli strichetti, i malfattini, i garganelli di Ravenna, i cappelletti piatto natalizio per eccellenza,i ravioli, con ripieno di spinaci e ricotta, con la sfoglia senza uova sono fatti i ritorti strozzapreti.
L'arte del matterello fornisce anche la piada, spessa (con o senza strutto) oppure sottile, con olio d'oliva nel riminese e nel Montefeltro, i crescioni alle erbe di campo; la piadina emblema della Romagna, simbolo conosciuto ormai ovunque, che non è solo un cibo, ma è un vero e proprio fenomeno di costume.
Importante è la cucina di mare, dal brodetto: denso di conserva di pomodoro, aceto e pepe nero; al pesce in graticola (la rustìda): infilzato negli spiedini e protetto da una panatura all'aglio e al prezzemolo.
Nella lingua romagnola non esiste un termine equivalente a "pasta": i primi piatti, in brodo o asciutti che siano, vengono chiamati in genere mnestra ("minestra") che si può specificare così: mnestra sòta (asciutta) e mnestra int e' brod (in brodo).
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