PIZZA NAPOLETANA,
ROMANA E PINSA
Quando si parla di pizza, ognuno ha le sue convinzioni; chi preferisce quella alta, chi ama quella sottile e croccante; chi la vuole bianca e chi rossa; è impossibile dire chi ha ragione, i gusti sono gusti; proviamo a fare chiarezza su le differenze tra la pizza NAPOLETANA, la pizza ROMANA e la PINSA.
Se la pizza napoletana è divenuta patrimonio dell'UNESCO e la sua produzione è protetta da un disciplinare, la pizza romana è diffusa soprattutto in Centro Italia, sottile e croccante, definita appunto "scrocchiarella" con un aggettivo dal dialetto romano. Soffice e alveolata la napoletana, con un bordo alto e morbido; mondi diversi che si toccano per la somiglianza degli ingredienti, ma in quantità e proporzioni diverse, che si allontanano durante la lavorazione.
La PINSA ROMANA non una semplice versione della pizza, ma un suo antenato. La differenza con la pizza non è solo nella forma, ma anche nell’impasto e nella sua consistenza friabile. La pinsa ha avuto negli ultimi anni una riscoperta e un successo che l’hanno resa protagonista della cucina a Roma e in tutta Italia.
Nell’antica Roma, era come un piatto di recupero per le famiglie contadine. Cereali e farine grezze che non potevano essere vendute nei mercati, diventavano per i contadini le basi per l’impasto di una focaccia croccante e leggera, dalla quale deriva la pinsa romana come la conosciamo oggi.
L’origine del nome deriva dal termine latino “pinsère”, che significa schiacciare, allungare; andando così a ricordare la lavorazione dell’impasto, steso e pronto per essere infornato. In antichità la pinsa veniva utilizzata come pane, ad accompagnare intingoli e portate principali.
Uno dei primi riferimenti storici di questo piatto compare nell’Eneide di Virgilio, dove si racconta di Enea che, stremato dal viaggio che lo ha portato dalla Grecia verso l’Italia, viene accolto e sfamato dai popoli del Lazio con delle grandi focacce dalla forma allungata. Queste focacce si possono immaginare come l’impasto delle prime pinse a Roma.
Quella assaporata da Virgilio non è la pinsa che conosciamo oggi, che infatti si è innovata e arricchita di condimenti e abbinamenti, evolvendosi da semplice focaccia a prodotto gastronomico completo.
Il successo della pinsa e la sua evoluzione moderna hanno una storia recente. Nel 2000 nascono a Roma le prime pinserie grazie al pizzaiolo romano Corrado Di Marco che studia l’antica pinsa e il mix di farine del suo impasto per riportarlo ai giorni nostri, con l’aggiunta di ingredienti più contemporanei come la soia e il grano kamut. L’impasto leggero e friabile della pinsa, unito all’incontro con il mondo della pizza e a una rivisitazione moderna, hanno portato alla pinsa romana come la conosciamo oggi.
La pinsa spesso viene confusa per una versione alternativa e allungata della pizza, pensando che l’unica particolarità stia nella forma. In realtà, oltre alle sue antiche origini, sono molte le differenze che rendono la pinsa un piatto con un’identità precisa, unico e ben riconoscibile. Sono le farine
La pinsa ha un impasto composto da un mix di frumento, farina di riso e soia, con un’alta percentuale di acqua (idratazione all’80%) e lievito madre, utilizzato in quantità minore rispetto alla pizza napoletana tradizionale. L’impasto della pizza napoletana tradizionale è invece realizzato con un solo tipo di farina, bianca di grano tenero (di tipo 0 o 00). Questa differenza di impasto si riflette anche nella consistenza, con la pinsa che risulta morbida e leggera al centro, con bordi friabili e croccanti. Proprio nella consistenza la pinsa rivela tutta la sua unicità, molto diversa infatti dal soffice cornicione di una tipica pizza napoletana.
Altra caratteristica della pinsa è la sua eccezionale digeribilità, ottenuta grazie a una lunga lievitazione e all’alta idratazione dell’impasto.
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