ARANCINO
Prodotto della gastronomia; in siciliano, arancinu o arancina è una specialità della cucina siciliana. Come tale, è stata ufficialmente riconosciuta e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF) con il nome di "arancini di riso".
Si tratta di una palla o di un cono di riso impanato e fritto, del diametro di 8–10 cm, farcito generalmente con ragù, piselli e caciocavallo, oppure dadini di prosciutto cotto e mozzarella; il nome deriva dalla forma originale e dal colore dorato tipico, che ricordano un'arancia, ma nella Sicilia orientale hanno più spesso una forma conica, per simboleggiare il vulcano Etna.
Muhammad al-Baghdadi nel suo libro di cucina, scritto nel 1226, riporta la ricetta della Nāranjīya (arancia) – una polpetta di carne di montone immersa nell'uovo sbattuto e fritta in modo da farla assomigliare a un'arancia – che ricorda questa frittura siciliana.
Le origini dell'arancino sono molto discusse, come prodotto popolare è difficile trovare un riferimento storico per chiarire le origini e i processi che hanno portato al prodotto odierno e le sue varianti; alcuni autori supposero le origini partendo dagli ingredienti che formano la pietanza; per la presenza dello zafferano, ne è supposta un’origine alto-medioevale, nel periodo della dominazione musulmana, è stata introdotta l'usanza di consumare riso e zafferano condito con erbe e carne.
La panatura a sua volta viene fatta risalire alla corte di Federico II di Svevia (1198-1250), per recare con sé la pietanza in viaggi e battute di caccia; la panatura croccante, assicura la conservazione del riso e del condimento, oltre alla trasportabilità; si suppone che, l'arancino si sia caratterizzato come cibo da asporto, per il lavoro in campagna.
Fonti del termine arancinu, la più antica, il Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino di Michele Pasqualino edito a Palermo nel 1785; la prima fonte a menzionare arancine sarebbe il romanzo I Viceré dello scrittore catanese Federico de Roberto, nel 1894; la prima documentazione che parla dell'arancino come pietanza è il Dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi del 1857, testimonia la presenza di "una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia"; questo fa credere all'arancino come dolce, forse solo nelle festività in onore di santa Lucia, in seguito divenisse una pietanza salata.
L'assenza di riferimenti precedenti al Biundi, potrebbe in realtà essere indice di una "modernità" del prodotto, nella sua versione salata.
Sulla origine della versione dolce permangono notevoli dubbi; l'accostamento con santa Lucia e i prodotti tipici legati ai suoi festeggiamenti; a Palermo, nel 1646 approdò una nave carica di grano che pose fine ad una grave carestia, evento ricordato con la creazione della cuccìa, un prodotto a base di chicchi di grano non macinato, miele e ricotta; è pensabile quindi che i primi arancini dolci siano una versione da trasporto della stessa cuccìa. Il legame tra i due prodotti nei festeggiamenti luciani (13 dicembre), è tradizione palermitana quanto trapanese, festeggiare il giorno di santa Lucia, in cui ci si astiene dal consumare cibi a base di farina, mangiando arancini (di ogni tipo, forma e dimensione) e cuccìa.
La diffusione di questo prodotto nel mondo, ha origine nell’emigrazione dei siciliani all'estero, almeno nella sua fase iniziale, aprirono rosticcerie nei luoghi in cui si stabilirono portando con sé i prodotti regionali; un secondo fenomeno è dovuto alla creazione di rosticcerie in Italia e all'estero da parte di imprenditori siciliani.
L'arancino è considerato dai siciliani il prodotto di rosticceria più caratteristico della propria regione e quasi tutte le grandi città ne rivendicano la paternità; nel palermitano si rammenta che l'origine della pietanza risalirebbe alla gastronomia araba e al dominio islamico di cui il capoluogo siciliano fu capitale, dato che l'arancia da cui derivano nomi e forme sia una parola di origine araba, furono i saraceni a importarne la coltivazione in Sicilia.
Nel catanese, si sostiene che la forma a cono si debba ad una ispirazione data dall'Etna, tagliando la punta della pietanza appena cotta esce il vapore che ricorderebbe il fumo del vulcano, chef come Alessandro Borghese chiamava la pietanza "arancina", preparandola nella forma rotonda che è tradizionale nella Sicilia occidentale.
Per la preparazione si fa cuocere al dente il riso originario in abbondante brodo, fino a completo assorbimento. si fa raffreddare su un piano di marmo; formati dei dischi di questo impasto, si pone al centro di ciascuno una porzione di farcitura e si chiudono, si passano in una pastella fluida di acqua e farina e si impanano nel pangrattato, pronti per essere fritti.
Diffuso l'uso dello zafferano per dare un colorito dorato al riso, molto compatto e nettamente separato dalla farcitura; la ricetta originale degli arancini non prevede l'uso delle uova, il riso originario contiene molto amido e amalgama bene senza bisogno di uova per legare e impanare; l'arancino più diffuso in Sicilia è quello al ragù di carne, al burro con mozzarella, prosciutto cotto, agli spinaci con
mozzarella; nel catanese sono diffusi anche l'arancino "alla norma" con melanzane, e quello al pistacchio di Bronte.
La sua versatilità è stata sfruttata per diverse sperimentazioni; in Campania l'arancino prende il nome di palla di riso (pall' 'e riso) ed è rotondo e solitamente di dimensioni più piccole. È ripieno di riso al sugo o al ragù con aggiunta di piselli, carne e mozzarella.


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